Ferö sa mettersi a nudo davanti al simbolico specchio e si mostra per ciň che č veramente, nel suo “modo d’essere semplice”, evitando infingimenti ed artifizi vari, oltrepassando le formalitŕ precostituite.
Il poeta definisce le sue poesie, ironicamente, come “moderni sonetti stilnovisti di metrica assai privi” e si percepiscono, in primo luogo, una sorta di propensione a rincorrere “l’irreale in un mondo reale” come uno “svincolato bucaniere d’ogni meta indifferente” e, in secondo luogo, la sensazione che tutti noi siamo come “atomi che vagano”, sapendo bene che non c’č mai fine al continuo “desiderare e bramare” dell’essere umano.
Il poeta č “affamato d’emozioni” ed insegue le percezioni e le suggestioni esistenziali “per ritrovar la quiete” e si avverte una tensione lirica protesa al desiderio di voler “dare un senso alla vita”, dissolvendo la patina superficiale, superando le apparenze, le false maschere e le evidenze d’un mondo ingannevole.
Durante tale processo lirico emerge la consapevolezza d’una percezione della vita come “esistenza solitaria”, tra “logico e illogico”, eppure il poeta č costantemente “bramoso” d’intense emozioni, di spiragli che riescano ad illuminare le zone d’ombra dell’esistenza, di emozioni liriche che innalzino l’Amore, la passione, il piacere ad una dimensione superiore: alla fine di tale complesso percorso v’č infine la salvifica immersione in una simbolica silente armonia nella quale “perdersi”, avvolti in uno stato di grazia che percepisce la felicitŕ come scopo fondamentale della vita.
Massimo Barile